Tempo fa ho visto “THE DANISH GIRL” al cinema, un film puro, umano, vero.

Una visione che consiglio in particolar modo a tutti coloro che si arrogano il diritto di affermare cosa è normale e cosa non lo è. A tutti coloro che pretendono di schematizzare ed indirizzare il sentimento altrui. A tutti coloro che pensano di conoscere l’amore ma che ne infangano il nome ogni qualvolta ne parlino a sproposito schernendo l’omosessualità. A tutti coloro che vestono le proprie affermazioni di sacro, pur sapendo che il Cristianesimo stesso invita all’amore ed al rispetto nei confronti del prossimo (nonostante la religione cristiana abbia accettato, in varie epoche, le disuguaglianze sociali mentre predicava l’uguaglianza ed in nome della stessa abbia sopportato l’inferiorità della donna all’uomo e nascosto, con scabrosa abilità, perversioni sessuali terribili e traumatizzanti).

Mi chiedo se tutti coloro che pensano di sapere come debbano amare gli altri, sappiano amare davvero o se non siano mossi da convinzioni radicate difficili da smantellare. Cambiare un’opinione è possibilità di pochi. È capacità di chi crede veramente in sé stesso senza la necessità di riempirsi di teorie egoistiche ma stabilizzanti.

Ed allora succede che, INCREDIBILMENTE, la stessa persona che s’indigna responsabilmente di fronte alle grandi tragedie belliche e che, doverosamente ed indiscutibilmente, si commuove ogni anno di fronte alle immagini dell’olocausto o di qualsiasi altro dramma storico dei tempi passati e dei nostri tempi, (poichè, ahimè, alla bestialità umana non c’è limite), sia poi la stessa persona che non pensa al periodo in cui agli omosessuali veniva applicata una camicia di forza prima dell’entrata in manicomio.

Non esistono tragedie di serie A e tragedie di serie B. Coesistono sicuramente differenze numeriche che rendono stragi umane indubbiamente più eclatanti di altre, ma dove
anche una singola persona viva un dramma, dove un’anima venga sfregiata dall’ignoranza e dall’ipocrisia, dove tanti occhi si chiudano di fronte ad atti vessatori finalizzati alla clonazione dei sentimenti, lì , soprattutto lì, sta la sconfitta dell’umanità e di noi stessi qualora non comprendessimo l’ingiustizia intrinseca ad ogni atto di sopraffazione.

Non si dovrebbe aver paura di aprire la propria mente, la chiusura mentale fine a sé stessa mette timide radici alle atrocità. La presunzione di eguagliare tutto il prossimo a noi stessi, che, a mio modesto parere, altro non è che una manifestazione d’insicurezza, crea drammi personali devastanti e spesso irrecuperabili.

Fin dall’infanzia si dovrebbe spiegare ad un bambino la differenza fra dire gay e dire frocio, fra alcolista e alcolizzato, fra tossicodipendente e drogato, fra disabile e mongoloide, fra malato di mente e pazzo. Il gioco delle parole custodisce l’universo ma per poterlo insegnare, si dovrebbe prima capire che una parola sbagliata può uccidere dentro, che una parola reiterata si trasforma in un fatto, che un fatto condiviso diviene un’azione di gruppo. Eccola, allora, la sconfitta dell’umanità…