Ad ogni equinozio e solstizio cambio gli spazzolini da denti. Così, in una sorta di “hic et nunc” senza alcun richiamo esistenzialista ma con riferimenti notevoli alla mia memoria ingiallita, in una condizione di spazio tempo che mi colloca qui (in bagno) ed ora (o mai più), nella speranza che un preciso riferimento stagionale garantisca l’igiene dentale di tutta la prole. Perché quel convinto “domani lo faccio”, non trovi oblio trimestrale fra i miei neuroni incantati.

Distratti si nasce ed io, modestamente, distratta nacqui, godendo del privilegio di poter camminare sulle nuvole per quattro decadi e lasciando parecchie zavorre a terra, con percorso mnemonico dinoccolato, in perfetto stile Zazà. Il rovescio della medaglia lo pago in passi, quelli che ripercorro tornando a casa, quando mi accorgo che senza chiavi dell’auto non si va da nessuna parte.

Dopo la quarantina, anno più anno meno, la memoria si fa più snella, lasciando fuori lo scarto che può esserici tra XL ed XS. Ed è in quello scarto assassino che ti devi arrangiare. O ti “post-itti” dappertutto. Ovviamente dopo aver tentato di ritornare agli albori della tabula rasa a suon di “Settimana Enigmistica”, che poi adesso c’è suo cugino il “Blocco”, la versione mensile che ti concede maggior possibilità di aver finito la copia precedente quando acquisti la successiva.

In questo “pseudocrepuscolo post-quarantile”, resistono però punti fermi che non si scorderanno mai.

LE PREGHIERE

Potresti vivere nove decadi abbondanti ma anche sulla soglia della decima, saresti perfettamente in grado di recitare “Gesù d’amore acceso” con tanto di “O” iniziale e conseguente alleggerimento di coscienza. Rischieresti di faticare sul “Credo”, se non recitato in coro, strizzando eventualmente un occhio a Bennato, che “…un giorno credi di essere giusto…in un altro ti svegli e devi cominciare da zero…”, in una sorta di autoanalisi che impedisca al tuo ego di nutrirsi a dismisura. Che, tutto sommato, si può essere buoni cristiani senza essere cattolici ineccepibili ma non ci si può considerare buoni cattolici se non si è cristiani nella vita.

LE TABELLINE

Per la nostra generazione “pre-smartphone”, la calcolatrice era tabù. I conti con le dita e gli stessi conti che non tornano a pranzo, comunicandolo con un piccione al maggiordomo, sono lo zoccolo duro della nostra matematica d’un tempo. Che se in fin di vita ci propinassero un 6×8, sarebbe un 48 tutto d’un fiato senza risotti, contesse o casotti. Teniamoci in sospeso il curato per l’estrema unzione imminente.

LA MATURITÀ

Potrai plurilaurearti, collezionare Master come figurine e fare una carriera strepitosa ma lei sarà sempre lì, puntuale nei tuoi sogni, tremendamente ricorrente e nitida, minuziosamente raccolta in “bigini” stratosferici dalle mille discipline. Il sorteggio onirico delle materie è da cardiopalmo, con scritti ed orali che ti dividono dall’ ESTATE per antonomasia, quella senza compiti e senza esami a Settembre.

LA PRIMA VOLTA

Ne ricordi l’imbarazzo ed il timor da principiante. Se sei un uomo, in tempi nei quali l’educazione sessuale a scuola erano ancora lontani, sarai uscito dall’empasse parlandone con gli amici o sfogliando furtivamente giornalini sciupati nelle case sull’albero. Se sei una donna, il massimo dell’erotismo l’avrai visto nel sacchetto di patatine de “Il tempo delle mele” che perse il fondo in un cinema, su un paio di jeans sbottonati. Che poi c’erano anche “Paradise” e “Laguna blu”.

IL PARTO

In questo caso non puoi che essere donna. Almeno per ora. Ne ricordi le spinte sovraumane e le occhiaie alle ginocchia, che manco una tonnellata di correttore. In caso di tagli e cuciture di rilievo, maledirai con affetto il tuo ginecologo ogni volta che poserai il lato B sopra una sedia. Se portavi una seconda, alla prima montata lattea decisa proverai il salto di misura, spesso triplo. Il rovescio della medaglia è che, al primo svezzamento, ritornerai alle origini. Ma ciò che ricorderai all’infinito sarà Il primo sguardo del tuo pargolo.

 

 Stordita di ricordi, sistemo gli armadi. Il cambio stagionale non mi appartiene, conto i miei abiti sulle dita di una mano. Tra una gruccia e l’altra, sposto qualche scheletro. Non che il mio sia l’armadio di Mirabeau, ma credo che almeno una falange sulla quale meditare esista in ogni guardaroba. Giusto quel pensiero sul quale si vorrebbe riflettere o quell’opinione che si potrebbe modellare. Così, d’emblée, con quel tocco brioso che allontana la staticità dei pensieri. E rende unici. Che se “comportarmi da persona civile” è una mia priorità, “risponder sempre di sì” non è la caratteristica che fa per me.

Vorrei vento nei capelli. Lo troverò in bicicletta. Acchiappo un giubbino di jeans a fiori fucsia sulla cui parte posteriore, in inglese, sta scritto:

“Non solo sedersi ed aspettare, creare il proprio futuro”.

Mia figlia mi schernisce dolcemente non ritenendolo un giubbino da ultra quarantenne. A quattordici anni, far parte di uno schema estetico di massa rassicura. Lo indosso ed esco giuliva a caccia di sole.

Piove a dirotto.

Risalgo e mi getto vento nei capelli con un phon.

C’è sempre una soluzione, un’alternativa.

Sorrido.

Bicicletterò un’altra volta.

Dopotutto, domani è un altro giorno.