Giunsi in quel luogo meraviglioso un pomeriggio di fine estate, di quelli in cui il calore del sole rende piacevole ogni sua carezza sul viso. Pensai che l’origine celtica del nome BRIANZA (colle, altura), non rendesse giustizia ad un paesaggio che di montagne, laghi e pianure, riempiva il proprio essere. Compresi in un istante il suo amore per i luoghi d’origine e, non appena ci rivedemmo, l’abbracciai e lo ringraziai per avermi proposto tre giorni di relax, in compagnia di una poco più che ventennale amicizia.

Dopo una piacevolissima serata trascorsa in famiglia, degustando la deliziosa peperonata della madre, che lo appassionò ai fornelli fin da piccino, ci avviammo verso quello che lui, il mio amico dal nome che dona il volo ai palloncini, definiva il suo rifugio ancestrale. Arrivammo dunque in un minuscolo casolare poco distante dal lago Azzurro, un’incantevole realtà abbracciata da ontani cinguettosi.

Quattro chiacchiere, mille risate ed un sonno ristoratore, abbassarono il sipario sulla giornata.

La mattina successiva, all’alba, lo osservai nell’appassionato adoperarsi in un piccolo orticello, del quale mi aveva parlato con entusiasmo. Si affaccendò per un paio d’ore,  poi, sfilò da una tasca un piccolo sacchetto di tessuto marrone e si sdraiò sopre un’amaca retta dagli ontani, posandoselo sul petto.

Restò così per mezz’ora.

Dopo una splendida giornata trascorsa insieme, fra ricordi e confidenze, la mattina successiva, all’alba, si riaffacendò nell’orto per due ore, sfilò dalla tasca un piccolo sacchetto di tessuto grigio, si sdraiò sull’amaca posandoselo sul petto e restò così per un’altra mezz’ora.

All’alba del terzo giorno, si riadoperò nell’orto per altre due ore, sfilò dalla tasca un piccolo sacchetto di tessuto lilla, si sdraiò sulla stessa amaca, posandoselo sul petto e restando così per la solita mezz’ora.

Alla quarta alba, per me giornata di partenza, lo vidi sistemare gli attrezzi, riporre con cura i tre piccoli sacchettini tessuto in un vaso da giardino in terracotta ed appoggiarsi sul rastrello scrutando l’orizzonte.

Lo scrutai pensare. Mi arrivò riflessivo ed appagato.

Durante il viaggio di ritorno al paese, gli chiesi, quasi in punta di piedi, cosa significassero per lui quei tre sacchettini.

Mi rispose rivestendo le sue parole della stessa semplicità che avevo percepito nei suoi gesti.

Vedi, Clo,” – mi disse – “la passione guida i nostri passi dalla nascita. Rincorriamo la gratificazione fin dal primo respiro e, da neonati, la sua ricerca è fine a se stessa e necessaria alla sopravvivenza.  Nell’età adulta, essa deve pero accompagnarsi al ricordo ed alla riflessione. Si dovrebbe imparare a volare senza scordarsi di camminare, ripensando sempre a quanti passi si sono compiuti prima di tendere le ali.  Ho ricercato la felicità nel ricamo del cibo ed ho raggiunto le più alte vette di mondanità; potrei volare del mio solo nome e lasciare la manipolazione degli alimenti ad altre mani da dirigere, ma diverrei un burattinaio, aggrovigliando inevitabilmente i fili del mio stesso essere. Le passioni vanno costantemente coltivate e, come le amicizie, si affievoliscono se le trascuri per troppo tempo. Esiste un rapporto arcaico fra uomo e natura ed il cibo è vivo, sicchè, come tale va trattato. Il pomodoro è semplicemente un pomodoro, ma il rispetto che si avrà nel cucinarlo, la cura che gli si dedicherà nel trattarlo, renderà una salsa migliore, nell’essenza ancor prima che nel gusto e questo avverrà, non solo per dote culinaria ma, soprattutto, per dose d’Amore.  Ogni fine estate ritorno nel mio paese d’origine e per tre giorni mi rifugio e mi ritrovo. Ogni spezia, ogni essenza, ogni seme, vivono la loro vita migliorando la nostra, a condizion d’essere in grado di rapportarsi ad esse nella giusta maniera, con affabilità. Quando coltivo il mio piccolo orticello, arando allo stesso tempo la mia anima, ritrovo l’armonia allo stato puro, ritorno alle origini e non permetto a me stesso di perdere la normalità del vivere.  La natura insegna. I semi di chia, sacchetto marrone, proteggono il cuore; entrando in empatia con essi, portandomeli sul petto, non perdo la capacità di lavorare con passione. I semi di papavero, sacchetto grigio, sono distensivi e calmanti; mi ricordano di non dimenticarmi di me stesso, della mia essenza primaria, se mi perdo inseguendo eccessivamente una passione. In relazione con loro, mi rilasso e mi ricarico. La lavanda, sacchetto lilla, protegge la bellezza; ne chiedo protezione alla bellezza interiore, ricercando nel suo profumo un sentire in senso lato che riesca ad essere non solo olfattivo. Proteggo quindi in un vaso, ponendovi un coperchio di legno d’acero, l’albero della coscienza, le mie sensazioni, i miei desideri ed i miei propositi. Fino all’anno successivo, quando la ciclicità del lavorar la mia terra, dell’insacchettarne l’energia e del ripormela sul petto, saprà riunirmi di nuovo a me stesso ed al mondo.”

Lo guardai. In silenzio. Capii in un istante che le parole, in talune occasioni, divengono superflue. Le lasciai in gola, tra fiato e lacrime, strette in un nodo da marinaio.

Di quelli fatti bene.

Poi gli sorrisi, di un sorriso semplice, nulla di eclatante, ma un sorriso ricco, in grado di rammentare quanto di bello ci sia da ascoltare nelle storie degli altri. Lo abbracciai, come un bimbo abbraccerebbe la madre, così, con quella stretta intensa, che d’intensità fa gratitudine.

Furono le migliori parole non dette, quelle trasmesse, quelle custodite, quelle adagiate sul cuore, come si adagiano le pietanze nei piatti.

Con passione, sempre ed ovunque.

• Quadro: “Elio”, (detail), acrilico su tavola, Paola Geranio, 2016.