Quarantacinque anni or sono vagivo il mio primo “Buongiorno” al mondo.

Mi tuffai a testa decisa, nel posto degli umani, che sempre umani non sono, in un lunedì autunnale, esattamente come oggi. Ora diluvia, allora non ricordo, ma so quanto la mia adorazione per pioggia e vento mi porti spesso a chiuder l’ombrello per vestirmi d’acqua e magia. Che il primo giorno della settimana e l’autunno rientrino fra le mie preferenze giornaliere e stagionali, sarà quindi legato a quell’ultimo colpo di reni materno, liberatorio e miracoloso, che lega l’inizio di un’avventura meravigliosa ad un repentino guizzare fra placenta ed aria. Passi per l’autunno, le cui sfumature di fogliame hanno inacantato pittori, fotografi e poeti d’ogni secolo, ma preferire il lunedì ai rimanenti sei giorni, mi rende sicuramente atipica rispetto alla moltitudine, che riversa, solitamente e comprensibilmente, le proprie attese sul week end. Ma bizzarra mi sento da sempre, nella misura in cui la necessità di adeguarmi non debba per forza scorrermi nelle vene, qualora ciò significhi non apparire per ciò che sono. D’apparire sull’essere non mi vien proprio, come del resto non m’è mai balenato di nasconder la mia età, della quale non me ne frega più di tanto, sentendomi sessantenne, trentenne o diciottenne, a seconda dei giorni. Tantomeno m’affligge il timor d’invecchiare, ben consapevole del fatto che l’unica alternativa sarebbe quella di finire al Creatore anzitempo e Dio, o chi per lui, me ne scampi.

Quarantacinque secchi quindi.

Come sostiene un mio carissimo amico, prezioso quanto una gemma rara, da oggi entro nel mio quarantaseiesimo anno di vita. Mi ci inserisco a gamba tesa, fra qualche fallo subito, qualche cartellino giallo incastrato in tasca e qualche rete infilata ed incassata, in una partita vitale della quale i miei genitori sono stati arbitri strepitosi, spronandomi alla libertà di pensiero come fosse un pallone da rincorrere e portare avanti, dribblando sui luoghi comuni, riconoscendo nell’avversario un amico e nella perdita una lezione fondamentale.

Tempo di bilanci, dopo gli “anta”, in una sorta di resoconto che non m’appartiene per nulla. Ho snocciolato risate e lacrime a bordo vita fin dalla più tenera età, sguazzando nelle prime, tantissime, ed annaspando senza affogare nelle seconde, non molte, per fortuna. Mi hanno spronato a sgranarmi gli occhi dentro fin da infante, donandomi in tal modo il privilegio di poter conversare amabilmente con me stessa, prendendomi a schiaffi da sola se fosse servito, che sapersi dare degli stronzi quando serve, non guasta mai.

In tempo di social, mi verrebbe da dire d’esser stata più “influencer” di me stessa che degli altri, nella consapevolezza di non poterlo esser in minima parte per nessuno. Nella costante ricerca di un mio percorso, spero infinito, mai mi verrebbe da indicarne ad altri, in nessun ambito.

Sarei fuori luogo su tutti i fronti ed il sol pensarlo mi fa sorridere.

AMBITO MATERNO

Al primo consiglio mi bannerebbero all’istante.

Sconsiderata madre che ha abituato i figli al freddo ed alla pioggia fra i capelli fin da piccoli, che si è assicurata che rincasassero con vestiti e ginocchia sporche, perché a preoccuparsi di restar candidi non ci si diverte. Donna di pulizia dubbia, che non sa cosa sia un additivo antibatterico, parrebbe che di questi tempi si combattano più batteri in lavatrice che malattie con i vaccini.

Lei che un litigio t’insegna ed una scusa ti nobilita.

Ma risolvitele da te, grazie.

Ma che madre sarà mai una così?!

Una che pensa che quando ti verrebbe voglia di dar un ceffone ai figli, per quell’odioso spirito di contestazione che sta germinando loro in corpo, significa che han scampato il rischio di dover crescere per forza perfetti, a condizion di saper tirar fuori le palle nella confidenze della sera, concludendo magari una discussione nella bellezza di un “ti voglio bene” sussurrato fra imbarazzo e timor di sentirsi inadeguati a comunicar emozioni, decisamente più verace di un cuore disegnato sull’alone sbuffato sotto una campana di vetro. Perfetto, di quelli simmetrici, gonfi, un cuore d’autore insomma, ma che se lo tiri in punta si sfascia in alto.

No, direi che son completamente inadatta per dispensar consigli materni.

AMBITO ESTETICO

Dei segni che porto in viso, i due solchi a lato labbra son i miei prediletti, amo definirle le rughe del sorriso, quelle che se ridi un sacco si marcano prima e ti smarcano dalla serietà, che vuoi mettere doversi concentrare a star seria per apparir più bella? Impresa ardua per me, che in tutta la mia vita non m’è mai riuscito di vincere una sola volta al gioco “Vince chi ride per ultimo”, anzi, ero l’unica stordita che cominciava a ridere ancor prima che il gioco iniziasse.

Ammiro le occhiaie.

Per ora sul viso degli altri, ma sto lavorando su di me affinché anche le mie arrivino a piacermi. Nel frattempo, mi diletto ad accentuarmi zampe di gallina nelle risate a tal punto, da ritrovarmi a covarci uova nelle giornate più gioconde. Son storie di vita i segni del tempo attorno agli occhi. Rendono meravigliosi attori ed attrici e parlan di verità a fior di pelle, di un movimento armonico e consistente del viso che si muove tutto insieme, senza interruzioni fra un centimetro e l’altro. Raccontano di sacrifici e stanchezze vissute, dignitosamente raccolte nelle guance degli anziani e nelle fotografie in bianco e nero che ne catturavano valor d’animo a prova di follower.

Che potrei mai consigliar, quindi, a donne desiderose di recuperar giovinezza? Non sarei minimamente in grado di fornir nessuna ricetta valida per riformar l’ovale se non un semplice “Ridi che ti passa”, passando per stolta sul viso della quale il riso abbonda, creando danni irreparabili.

Porto troppe imperfezioni per esser un’esperta di bellezza esteriore, mi accontento d’una bellezza comune, chiacchierando talvolta con il mio lato B, che tutto sommato non m’ha ancora tradito e prediligendo infiltrazioni di collagene al cuore, per tenermi appiccicati gli affetti più importanti.

Un lifting quotidiano ai battiti ch’è una figata pazzesca.

No, bocciata su tutti i fronti anche fra retinolo e acido ialuronico.

AMBITO POLITICO

Non mi sento d’appartenere a partiti o ad ideologie in maniera definitiva. Voto e mi aggrego alla cordata dell’idea che mi appare più sensata e della persona che sento più vera, lontana da principi inconfutabili da seguire a priori. Considero destra e sinistra due indicazioni stradali e nulla più, non temo il cambio d’idee ed ammiro il buon senso a tal punto, da chiedermi dove sia finito quando i fatti vengono considerati a seconda della notizia da cavalcare. Non amo strumentalizzare colori di nessun tipo su capi d’abbigliamento, tantomeno rievocare tragedie storiche come fossero barzellette da raccontarsi a bordo marciapiede. M’auguro che le parole tornino ad avere un peso e che i termini non vengano usati a sproposito per appellare in maniera sterile e superficiale chi la pensa in maniera autonoma. Si srotolano vite e destini, nelle discussioni politiche, senza pensar che denudando un popolo della propria cultura lo si rende arcaico ed impotente.

Cancellare il passato offusca il futuro.

Minare il presente rende orfani da entrambi.

Incatenare idee annienta l’uomo al pari della schiavitù.

Par quasi che l’umanità tutta s’occupi più degli uomini a fine vita, secondo sermoni esistenziali e moralistici, che della vita degli stessi.

Dovessi trovarmi a discutere su quale sia per me il miglior modo di saltar giù dal mondo, spero di poterlo fare in libertà, senza sterili accanimenti che altro non fanno che alleggerire le coscienze altrui. Al grido de “L’utero è mio e lo gestisco io”, aggiungerei un semplice “Lasciatemi andare come mi pare”.

E cala dunque il sipario sulla mia capacità d’affrontar discorsi politici.

Troppo scentrata, troppo libertina, non è concesso, via.

AMBITO RELIGIOSO

Credo nel mio Dio a periodi alterni, dubitando della sua presenza ove l’uomo arrivi a raggiungere livelli di bestialità per me incompatibili con la sua stessa esistenza. Nei giorni che mi vedon credente, sfioro una valenza divina cristiana più che cattolica, percependo in tutte le religioni l’intento prevaricatore dei propri principi su quelli dell’uomo, uno strumento di plagio ecclesiastico che ha raggiunto il potere massimo, nel corso dei secoli, germinando devastanti sensi di colpa nell’animo umano, il peggior insulto. Chino il capo in segno di stima verso coloro che, attraverso la religione, donino forme d’aiuto e sostentamento concrete, lontane da qualsiasi concetto predicato a macchia d’olio e vicine alle persone nella loro fisicità.

Un segno di rispetto che non ha bisogno di mediazioni d’alcun tipo, poiché si verifica senz’esser predicato. Un aiuto alla debolezza ed un riconoscimento di sè nell’altro, che viaggia su binari d’umanità indipendenti da tutto.

Troppo confusionaria per apparir tra le file dei fedeli.

Dovrò prima o poi farmene una ragione.

AMBITO D’AMICIZIA

È forse l’unico ambito in cui possa affermare d’aver qualcosa da insegnare, non tanto per l’amicizia che dono, non sta a me valutarla, ma per quella che ricevo quotidianamente da due donne meravigliose, alle quali, se sarò in grado, tenterò di dedicare in futuro uno scritto, sperando di trovar vocaboli adatti a descriverne il valore. In esse trovan posto la mia fede e le mie idee. In loro mi sento amata ed attingo ad una bellezza interiore, comune ad entrambe, che mi disseta ogni giorno.

Le stesse son per me lettura, scrittura e musica.

Son parole dolci e dure all’occorrenza.

Son ballo, abbraccio e corsa.

Sono ali, per il volo più alto.

Ed io, per loro, son fazzoletto.

Quello che gli porgerò ridendo quando si commuoveranno leggendomi. E mi chiederanno che m’è saltato in mente di descriverle in tal modo e che son fuori.

Ma tanto già lo so d’esser fuori, ma la cosa più bella è d’esserlo sapendo di star dentro in loro ed in una manciata d’altre persone splendide.

Tenterò dunque di far tesoro d’ogni mia imperfezione, d’ogni mio difetto e d’ogni mio dubbio, sapendoli stimoli per non rischiar di credermi arrivata.

Ma che poi, arrivata dove?

Mi basterebbe saper d’esser riuscita a donar ai miei figlioli un’unica certezza, quella d’esser amati, perché, a parte l’Amore, tutto il resto si evolve e si fan dei giri su se stessi bellissimi, stravolgendosi ogni volta.

Cosa vorrei di più dalla vita?

Niente, se non un poeta che ogni mattina abbia ad augurarmi il buongiorno, brindando con me a suon di penna.

Ma sarebbe chieder l’infinito e non aver più nulla a desiderare.

Mi accontento di un Lucano, anzi no, di un Amaro Del Capo, meglio.

Cin cin!