*IMPUT, nel linguaggio comune, risulta essere un incentivo, un invito al fare. Con grande euforia, colgo questo stimolo letterario dall’INCIPIT di Arianna Orazi degli #aedidigitali. Di seguito, la sua traccia, la foto da lei proposta ed il mio racconto che, in un certo senso, appartiene anche a lei. Grazie Arianna.

“Oggi giochiamo a continuare la storia, dato un incipit scegliete come continuare e chiudere il finale. Perchè la #percezione di un colore, di una forma. Il gioco della finestra umida e opaca. Cosa c’è oltre la dimensione soggettiva delle nostre soggezioni? O suggestioni?”

INCIPIT

“La nostra storia inizia a Parigi in un giorno di pioggia, Noah esce di casa e prende le bus. Dietro al finestrino intravede un ombrello giallo, un sole nel grigio del giorno. Noah scende e segue qualla macchia soleggiata per i vicoli di Mont Martre… e?”

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Noah uscì di casa e prese “le bus”. Solitamente andava al lavoro in metropolitana ma quel giorno, in un inizio mattina ancor troppo buio per definirsi alba, preferì viaggiare a filo asfalto. Al ritorno avrebbe riacchiappato al volo la 12, da MADLEINE a MARCADE-POISSONIERS e da lì, la 4 fino a casa. Improvvisamente, perso fra i suoi pensieri di viaggio, da dietro al finestrino intravide un ombrello giallo, un sole nel grigio del giorno. Noah trasalì di una #percezione non ben definibile ma particolarmente intensa. Quel colore, quella rotondità, quel dolce incedere che lo spinse a scendere per seguire quella macchia soleggiata per i vicoli di Montmartre. Percorse metri e marciapiedi nella “terre libre des aristes”, passo dopo passo sulla frenesia di chissà quale scoperta. Nel frattempo, l’alba fu degna del proprio nome, le nuvole interruppero il loro pianto e l’ombrello si chiuse. Dita sottili dalle unghie laccate d’un celeste intenso, lo strinsero in un laccetto e ne bloccarono lo sfarfallio in un click. Le ultime gocce si strizzarono a terra e Noah rimase fermo e fisso. Immobile nei passi e nei pensieri. La donna si allontanò con tacco deciso e l’ombrello giallo si fece pagliuzza d’orizzonte. Noah continuò a chiedersi perché l’avesse seguita. Nel frattempo, il giro delle lancette che non aveva perso un colpo, lo riportò sui suoi passi, dirigendolo di fretta al lavoro. Poco distante avrebbe agguantato la 12 con un salto felino, alla fermata ABBESSES. In prossimità degli scalini che avrebbero reso tetto l’asfalto, s’imbattè ne “LE MUR DES JE T’AIME”. Ripercepì. Si ritrovò avvolto nella stessa sensazione di poco prima e ancora non riuscì a coglierne il significato. Si diede una scossa mentale e balzò in carrozza, diviso fra riflessioni profonde e misteri emotivi.

La giornata lavorativa trascorse pensierosa.

Prima del rientro, acquistò una torta ai lamponi che Michelle adorava. Gli era sembrata un’ottima idea per festeggiare il suo compleanno, che peraltro coincideva con l’onomastico, il 18 novembre. Il nome Noah era stato scelto da sua madre; significava “colui che consola e porta tranquillità” ed il caso che l’onomastico vestisse i suoi natali, non poteva che rinforzare la convinzione materna della scelta nominale. Sua madre, Aida, aveva lasciato l’Inghilterra per amore della pittura e per innamoramento di Louis, suo padre, gallerista parigino conosciuto ad una mostra sulle colline di Montmartre. Aida non dipingeva più da tempo. I suoi quadri, sparsi ovunque sulle pareti di casa, non aumentavano di un’unità dalla nascita di Annette, la sorella minore di Noah. Ora aiutava Louis nella gestione della galleria, curandone l’amministrazione. Si rammaricava spesso di aver cestinato per sbaglio, insieme a carte d’ufficio scadute, uno scatolone di fotografie d’infanzia di Noah il quale, purtroppo, aveva immagini di sè dai tre anni in su.

Arrivò da Michelle per cena. Addentarono baguette e camembert, gustarono un’omelette agli asparagi e si deliziarono del dolce, passandosi i lamponi da labbro a labbro e brindando alla maggiore età di Noah fra baci e carezze intime. Prima di andare la baciò sul collo. La morbidezza e la fragranza familiare dei suoi biondi boccoli, gli trasmetteva serenità. Si lasciarono a notte fonda e Noah rientrò a casa in punta di piedi. Gli sarebbe dispiaciuto svegliare i genitori ed Annette. Tentò di dormire ma ripensò in continuazione alle percezioni della mattinata, all’ombrello giallo ed al “MURO DEI TI AMO”. Si alzò e bevve una tisana nel tentativo di rasserenarsi. Aida lo raggiunse e lo osservò attentamente. Parlarono a lungo e lui le descrisse il suo disagio. Sentiva una mancanza, ma non riusciva ad afferrarla e a darle un senso. E poi quel giallo, quel colore che doveva avere un significato recondito, oltre ad essere il suo totem. Aida capì che era giunto il momento. Quel momento.

– Amore mio – gli disse con tutta la dolcezza del mondo – Quarantacinque anni or sono, mia madre partorì due gemelle, una ero io, l’altra era Anise. Fummo complici da subito. Ci amammo tutta la vita e crescemmo insieme, ognuna con la propria passione, per lei la pittura, per me l’informatica –

– Ma… come?! – esclamò Noah tra incredulità e stupore.

– Noah, ti prego, lasciami finire… per me è terribilmente difficile… La passione per la pittura portò tua madre in Francia presto tempo, la sua bravura era indiscutibile ed il suo stile pittorico molto particolare. In poco tempo fece mostre in più quartieri e fu durante una di queste che conobbe tuo padre a Montmartre. Si amarono dal primo istante e ti desiderarono da subito –

Noah non capiva e piangeva, poi capiva e ripiangeva, soffocando singhiozzi immensi nell’orgoglio maschile di tutti i suoi diciotto anni.

– Quando tu nascesti io arrivai a Parigi ed iniziai a lavorare con tuo padre e tua madre, aiutandoli nella gestione della galleria e trascorrendo meravigliose giornate al tuo fianco. Poco prima del tuo terzo compleanno, tua madre mi telefonò una mattina, splendidamente gioiosa; tua sorella aveva fatto capolino dentro di lei. Scoppiavamo di felicità. Una felicità che durò otto mesi, fino a che il mondo ci crollò addosso e ci schiacciò senza umanità, crudele e meschino, il giorno che le diagnosticarono una malattia incurabile…

…passò la settimana seguente in silenzio, chiusa nel suo studio a dipingere; l’ottavo giorno si dedicò al suo amato Louis, con il quale parlò fitto fitto ed infinito e poi giunse a me. Pianse, mi abbracciò, ripianse, ci stringemmo forte. Ci disperammo. Prese in mano il suo cuore e mi comunicò di voler portare a termine la gravidanza prima di lasciarci. Desiderò che vi facessi da madre, ma mi chiese di non raccontarvi nulla di lei. Disse che mi sarei accorta io, a suo avviso, del momento giusto in cui farlo. E quel momento è adesso, Noah…

… l’ultimo giorno che v’incontraste, volle andare con te a “LE MUR DES JE T’AIME”. Io vi accompagnai defilata, era molto stanca e provata. Indossava un bellissimo vestito giallo che la fasciava una pancia splendida e piena. Tu ti appoggiasti a lei e ti stringesti a quella pancia. Lei ti baciò, ti strinse forte e ti sussurrò che un giorno, da grande, avresti portato vicino a quel muro tua sorella per dirle quanto amore le aveva voluto la sua mamma. – Ve bene mamma, verremo con te vero? – le chiedesti. E lei te lo promise, chiedendo a me di mantenere quella promessa per lei. Volle essere sicura, prima di andarsene, che a voi fosse concesso di sentire la sua mancanza al momento giusto, Noah, e questo è quel momento…

… negli anni a seguire io e tuo padre ci dedicammo completamente a voi e vi amammo profondamente poi, senza quasi accorgercene, ci innamorammo anche noi…

A Noah mancò lo sguardo, ad Aida sparì la voce. Riuscì solamente ad alzarsi ed a prendere, da uno scatolone d’ufficio, un album di fotografie ed un abito giallo. Li diede con delicatezza tremante a Noah e ritornò in camera devastata, non prima di aver incontrato lo sguardo dolce e commosso di Louis.

Noah strinse le sue mancanze al petto. Provò rabbia, impotenza, tristezza e frustrazione. Si alzò, tornò in camera sua e non parlò per giorni. Prese la 4, la 14 e poi la 14 e ed ancora la 4, e qualche volta “le bus”. L’ottavo giorno scese ad ABBESSES, salì a filo asfalto e raggiunse “IL MURO DEI TI AMO”. Vi si appoggiò, chiuse gli occhi e sentì dentro di sè tutto l’amore del mondo. Raggiunse “LE MULIN DE LA GALETTE” e si sedette al bar. Sorseggiando aranciata, si chiese se Renoir, dipingendone “le bal” nel 1876, fosse stato felice. Apri l’album e guardò le sue fotografie, dai tre anni in giù. Poi scese per RUE LEPIC. Tra piccoli negozi e caffetterie, immaginò la madre salire e scendere quella stradina con cavalletto e colori sottobraccio. Non si chiese se fosse stata felice, poiché era sicuro che lo fosse stata. Ed ora anche lui lo doveva essere. Glielo doveva. Lo doveva a lei, ad Aida, a Louis. Scese la via di corsa, con tutta la sua mancanza sottobraccio. Ma pieno dei suoi colori. Avrebbe portato Annette al muro fra qualche anno. Al momento giusto. Balzò sulla 12 con scatto felino e telefonò ad Aida.

– Mamma! Sto arrivando!! Stasera ho una fame pazzesca, cosa c’è per cena? Ah… a proposito… mamma… dì a papà che lo amo, uguale uguale a quanto amo te!!! –

Si sedette sereno e guardò al finestrino. Pensò a Michelle ed ai suoi capelli profumati. Le messaggiò un cuore. Intanto fuori pioveva a dirotto e sfilavano ombrelli di ogni colore.