Linda e Lucia, che i nomi avrebbero dovuto scambiarseli in pancia. Lucia, “Lucius”, “Lux”, “splendente”. Nome che i romani davano alle bambine nate all’alba. Lei, la più puritana, alla quale avrebbe calzato a pennello il nome della gemella Linda, sorprendentemente diversa nel carattere quanto uguale nell’aspetto. Le gemelle “sgemellate”, come le definiva la loro madre in tono scherzoso. Lei, la signora Milena, che, in un atto d’amore estremo, le aveva partorite durante un’alba di primavera, di quelle mattine in cui l’aria frizzante rinvigorisce piacevolmente i visi, e proprio il viso di Gianfranco, suo marito, era in quel momento in preda alla commozione più intensa. Nacquero mano nella mano, Linda e Lucia, crebbero meravigliose in una famiglia normalissima, dove per normalità s’intenda il vivere comune fra alti e bassi, sull’orlo di discussioni preadolescenziali e consigli genitoriali non sempre ben accetti.

Linda e Lucia, le gemelle dai nomi invertiti, si amavano alla follia ma discutevano ogniqualvolta si affrontassero temi delicati.

Divorzio, eutanasia, aborto.

Lucia, perennemente piena di patos nell’argomentare le proprie convinzioni etiche, rigorosa nel rispetto assoluto della vita altrui, a qualsiasi costo ed a qualsiasi prezzo. Linda, decisamente di pensieri più morbidi, duttili, malleabili a seconda della situazione. La “conservatrice motivazionale” e la “riformista dalla mente poliedrica”, non ci si poteva credere che avessero condiviso la stessa placenta!

Fuori dal guscio “infanziarono” felici, crebbero e vissero le loro vite. Lucia lavorando come ostetrica obiettrice e Linda insegnando spagnolo in un liceo di periferia. Linda conviveva con Lorenzo, un riparatore di strumenti musicali. Lucia sposò un ginecologo obiettore nella sua ventinovesima primavera. Si erano conosciuti ad un torneo nazionale di scacchi, grande passione per entrambi. Tra pedoni, alfieri, torri e cavalli, il re e la regina convolarono a nozze. La scacchiera era per loro terreno di confronto. Le conversazioni più profonde, le discussioni più accese, le parole più belle, si sviluppavano tra bianco e nero, tra arrocco e scaccomatto. Spesso fino a notte fonda. Linda ammirava e stimava profondamente il loro rapporto, ma quando Lucia affermava convinta che la parola divorzio non avrebbe mai fatto parte del suo vocabolario, che l’anno a seguire, vista l’imminente promozione lavorativa, avrebbe “messo in cantiere” un bebè e che il suo futuro fosse piacevolmente già scritto, Linda la contraddiceva dolcemente.

– “Lucia, sai come la penso in proposito e sai anche che ti auguro ogni meraviglia. Tu ed Amedeo trascorrerete sicuramente insieme tutta la vostra vita, ma questa tua radicata convinzione di avere in tasca la verità assoluta per il prossimo mezzo secolo, mi sembra eccessiva. Dovresti lasciare spazio a qualche forse, a qualche magari, a qualche chissà. Non arroccarti nella tua torre di certezze, lascia che il futuro resti tale, sei qui adesso e sei felice adesso, il resto non conta. La vita non è una partita di scacchi” –

Lucia si innervosiva sempre a sentire questi discorsi ma, dopo un paio di battibecchi, tutto finiva in una risata.

– “Ha ragione mamma a chiamarci sgemellate, siamo il bianco ed il nero Lucia, ma anch’io ho una certezza fra mille quesiti, se avrò un figlio la sua nascita sarà affidata a te e ad Amedeo, sono in una “botte di ferro” no?” –

– “Certo, Linda, ti avrei concesso alternative?!” –

La promozione lavorativa di Lucia arrivò a breve, il bebè non arrivò.

Tre primavere più tardi, Linda uscì dal lavoro poco prima di cena e si recò in pasticceria. Acquistò una torta da gustare in famiglia, in occasione del loro compleanno. Mentre attraversava il parco, si sentì afferrare per la vita con violenza. Due volti sconosciuti, gesti brutali e feroci, occhi rabbiosi… i jeans le vennero strappati in un secondo. Gettata a terra come un animale, si sentì ferocemente penetrata una, due, tre ed infinite volte… la paura le tolse il respiro, cercò al suo pensiero una torre nella quale arroccarsi ma trovò solo terrore, spavento, disperazione… un contatto di pelle forzato e tremendamente doloroso, una lacerazione corporea e mentale devastante, una disumanità cruenta e sanguinosa, un continuo incedere morboso che riconduceva l’uomo ad uno stato schifosamente bestiale…

Un repentino colpo in testa le impedì ogni emozione.

A casa, i primi minuti d’attesa non destarono alcun pensiero; tutti sapevano come la puntualità non rientrasse fra le migliori qualità di Linda. Dopo mezz’ora i primi dubbi, dopo un’ora la preoccupazione, dopo tre ore una telefonata. L’avevano ritrovata riversa sull’erba, il giubbotto ancora allacciato, le gambe nude, panna montata e lamponi tutt’intorno.

I riccioli rosso sangue.

A Milena, Gianfranco, Lucia, Lorenzo ed Amedeo, fu risparmiata la terribile visione. Linda, dal canto suo, non vide nessuno. C’era una fresca brezza di primavera quella sera, ma di quelle che danno ancora fastidio al viso.

Per Lucia, vedere Linda su quel lettino era come specchiarsi. La loro somiglianza era incredibile ma, ora come mai, Lucia si sentiva sgemellata. Quel viso pieno di lividi, quel corpo trattato come carne da macello. Il concetto di rieducazione sociale dell’individuo in cui Lucia credeva con tutta se stessa, perdeva lentamente di senso.

Milena e Gianfranco respiravano ma morivano dentro.

Il cuore di Lorenzo e di Amedeo batteva d’inerzia. Gli strumenti musicali di Lorenzo divennero muti.

Furono settimane terribili ma, finalmente, un’alba di primavera inoltrata, quando la brezza sul viso intiepidisce la pelle e non da più fastidio, Linda uscì dal coma. Aprì gli occhi e li richiuse. Non volle vedere, non volle sentire.

STUPRO.

Quella parola piena di consonanti così dure, taglienti, tremendamente reali. Linda cercò la torre del silenzio e vi si rifugiò.

La riabilitazione fisica fu veloce e soddisfacente. La medicina aveva guarito ciò che si poteva guarire. La corporeità. Null’altro.

Una notizia inaspettata ruppe il silenzio di Linda. A fatica, Milena preferì non prendere giri di parole.

– “Linda… sei incinta… di tre settimane” –

Glielo disse a fil di voce, trattenendo le lacrime.

– “Lasciatemi sola!” –

Lorenzo, la sera del compleanno, era appena rientrato da Parigi per lavoro dopo un mese di assenza. Il che, apriva la strada ad una triste verità.

Lucia corse a casa piangendo. Entrò in salotto e scaraventò al soffitto la scacchiera e gli scacchi di ceramica. Alfieri, pedoni e cavalli la osservavano dal pavimento. La sua torre iniziava a sgretolarsi. Nulla quadrava più. Non era così che si era immaginata di avere il suo primo nipote. Furono giorni sordomuti.

– “Linda ha deciso di non tenere il bambino” –

le comunicò, con delicatezza, Amedeo.

Avrebbe voluto abbracciarla, avrebbe voluto comunicarle la sua disponibilità alla pratica abortiva, decisione maturata a lungo, ma temeva di ferirla nel profondo delle sue convinzioni.

Lucia, dal canto suo, avrebbe voluto abbracciare Amedeo, avrebbe voluto chiedergli di praticare personalmente l’aborto a Linda, decisione maturata a lungo, ma temeva di ferirlo nel profondo delle sue convinzioni.

Non si chiesero.

Tra il re la regina si era insinuato il silenzio.

Lorenzo aveva parlato a Linda, manifestandosi dolcemente d’accordo con qualsiasi decisione lei avesse preso. Iniziò a costruire una torre dove proteggerla e confortarla. L’amò di parole, di carezze, di sguardi. I suoi strumenti musicali ricominciarono a parlare.

Tutto fece il suo corso.

Nelle aule di tribunale, si decise ciò che era da decidere. Tra perizie ed arringhe, si concluse un percorso lungo e difficile. La severità delle pene non fu abbastanza severa. Di questi tempi andava così. Linda partecipò ad ogni udienza. Non guardò mai i due stupratori negli occhi. Non per paura. Non per vergogna. Ma per rispetto a quel bambino che aveva portato in grembo. Non dimenticò mai quel bambino. Lo pensò ad ogni alba della sua vita, affacciandosi ogni giorno dalla sua torre, qualunque fosse la temperatura della brezza mattutina sul viso. Sentiva dentro di sè un grande vuoto, una mancanza… Non era un senso di colpa dettato dal credo di appartenenza, piuttosto una sensazione di nostalgia, una mancata possibilità di conoscenza e di contatto con il proprio figlio.

Lucia ed Amedeo non si confidarono mai il pensiero che li aveva portati al silenzio e quel mutismo si protrasse a lungo rendendoli divorziati senza esserlo. Non avevano più giocato a scacchi. Continuarono il lavoro deponendo le loro obiezioni, ostetrica lei, ginecologo lui. Non ne parlarono mai per paura di ferirsi.

Cinque primavere più tardi, nella torre di Linda suonarono mille melodie.

– “Mamma, papà, aspetto un bambino” –

Milena e Gianfranco ripresero a respirare a pieni polmoni.

Lorenzo parlò con tutti i suoi strumenti.

Lucia corse a casa ridendo di gioia. Entrò in salotto e lanciò mille caramelle al soffitto.

Il cuore di Amedeo riprese battiti regolari.

Nell’alba di Natale, riuniti in famiglia, Linda, dopo essersi affacciata dalla sua torre ed aver respirato le gelida brezza invernale, baciò il suo bimbo nel cielo, accarezzò la sua bimba nel pancione e svegliò la sua gemella. Si affacciarono alla torre. Linda diede a Lucia un pacco regalo. Dentro c’erano tutti i suoi scacchi di ceramica incollati uno ad uno.

– “Dietro ad ogni scelta vibra una motivazione. Dentro ad ogni individuo cresce l’idea idea di come dovrebbe andare il mondo. In un mondo civile non si dovrebbero condannare le scelte altrui. Culti od autorità che si nutrano del diritto di biasimo, avranno passo di piombo e pensiero tiranno. Sono stata rotta dentro e tu ti sei rotta con me. Niente sarà più come prima, Lucia cara. Hai scavalcato convinzioni e principi per essermi vicina, ora è giunto il momento di ricostruire la tua torre. Vai, corri da Amedeo e riempite il vostro silenzio di parole. Amatevi o lasciatevi. Non perseverate a vivere d’indifferenza” –

Lucia si appoggiò sulla spalla di Linda, si presero per mano e si rigemellarono. Poi, corse leggiadra da Amedeo. Parlarono. Lui la sollevò al soffitto. Alfieri, pedoni e cavalli, li osservavano dalla scacchiera. Il re e la regina si riamarono. Amedeo costruì a Lucia la torre più bella. Decisero di avviare le pratiche per la fecondazione assistita.

In un’alba di metà Marzo, fecero nascere la bambina di Linda “in una botte di ferro”. Linda la volle guardare subito negli occhi, per rispetto al bambino che aveva portato in grembo. Poi la baciò e la strinse a sè. E fu come se stringesse entrambi. La prima brezza che la bambina sentì sulla guancia fu il bacio di sua madre, delicato, della giusta temperatura, di quelle che non danno mai fastidio.