Scese dalle riflessioni comuni, il pensatore.
Posò i piedi sul nero marmo mentale e vi si accovacciò.
Capo fra le mani, dubbi fra le dita.
Si vestì di coraggio e si viaggiò dentro.
Il viaggio più difficile.
Brindisi al cianuro ed applausi di pagliaccio alla sua esibizione.
Nel tendone dei balocchi, fili allentati di burattini senza fate turchine. Sogghigni di volpi e gatti dagli alberi d’oro, monete ad una sola guancia, null’altro da porre. Abbecedari senza insegnamenti. Padri geppetti rugosi, di parole inascoltate. Pensieri come stomaci di balene, umidi, oscuri, nauseabondi.
Convinzioni in mal di mare, mulinelli di certezze capovolte, tempeste di membra, ossa febbrili in canto di nacchere, tempeste in danza sul cuore in tip tap.
Brutta storia il doversi rileggere, spostarsi il segnalibro, perdersi il segno addosso.
Sulla pagina prediletta poi, quella che si credeva di conoscere a memoria. Dannosa beffa di poesie cantilenate, recitate a getto, sputate a fuoco di drago.
Ustionanti.
Rime scomposte di scolaretta avventata, serva d’impulso e miope d’accortezza. Ragazzina d’abbraccio oliato, stretto al punto da scivolar cristalli, mille pezzi di meraviglia infranti.
Assordante. Tagliente. Penetrante.
S’abbigliò di pieghe sferzanti, il volto.
Dolore che donava, a quel viso. Ne specchiava serietà restituendo consapevolezza. La giusta compagna.
Sincera. Verace. Necessaria.
Si tuffò a narici tappate, ad occhi chiusi, di pancia.
S’immerse nella coscienza a colpo secco.
Ne rimase il tempo dovuto, in apnea dal suo essere. Sconoscendosi, mortificandosi, reimparandosi.
Si ricamò rimproveri a punto croce, contando ogni filo, scegliendo ogni colore, direzionando l’ago con abilità zelante.
Volle pungersi.
E sanguinare.
Decise di sottostare a rigidità mai assecondate.
Digerendosi.
Centrifugandosi.
Poi ruppe lo schema. Smise di mordersi la coda. Ed imboccò lo sfiatatoio nello spruzzo più violento, gelido, catartico.
E si riespose al sole.
Uscì il volto dalla pece, pelle di ciliegia, guance di neve, petali di rosa. Occhi scuri e parole mute, da rimusicare. Ne diede colpo di plettro.
E si riaccordò.
Levò le mani al cielo e si vestì di passione.
Alzò i talloni e puntò i piedi, a metà fra terra e nuvole.
Lasciò il capo chino, per sussurrarsi ancora un poco fra sè ed i suoi errori. Si fece pelle da legno. Arricchì l’abbecedario. Riempì d’oro le rughe dei volti e fece trecce di capelli turchini. Lanciò monete nel mare ed espresse il desiderio più bello.
Per la persona più cara.
Anima garbata e preziosa.
Poi sfarfallò le dita. Le rivolse al cielo. Attese la sera e si confidò con la luna.
Acchiappò una coda di cometa.
E si riespresse.
• Fotografia: Claudia Brugna.
• Quadro: “Andy Warhol” di Paola Geranio, acrilico su tavola, 150 x 170.
• Scultura: “Atleta rosso”, KARE design.
4 luglio 2018 at 21:26
Non ti sento per un bel pezzo di tempo, poi riappari ed esplodi..a raffica! ma grazie veramente!
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4 luglio 2018 at 21:28
Non se se sia un pregio o un difetto, titti cara, ma scrivo “a getto”, quando mi sento ☺️. Adattarmi a scadenze m’imbriglierebbe l’ispirazione 😅
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4 luglio 2018 at 21:29
E poi grazie a te!!! 💖
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4 luglio 2018 at 21:29
Sento lo scrivere ‘a getto’. Idem! Idem anche l’ultima affermazione💋💋
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4 luglio 2018 at 21:30
🙏
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4 luglio 2018 at 21:30
😘❤️
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20 luglio 2018 at 19:51
“Spostarsi il segnalibro, perdersi il segno addosso” mi piace da matti. Fai bene a scrivere di getto. Io con l’età lo faccio meno. Forse troppo lavoro di editing sui romanzi (che però sono in-editi, vedi tu il paradosso). Richiede anche coraggio pubblicare questi fiotti, sottraendosi a un web writing che detterebbe tutt’altro. Brava, devo tornare più spesso, mi fai tornare giovane.
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20 luglio 2018 at 19:54
A parte che non hai bisogno di tornare giovane perché lo sei, detto questo, la bellezza di quanto scrivi non ha età ed arriva sempre al cuore, dal quale ti ringrazio sinceramente 💖
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