Dicembre. Pomeriggio. Aspetto mio figlio all’uscita da scuola. Poco più in là, un’immagine da manifesto pubblicitario. Un bell’uomo, alto ed atletico, attende il suono della campanella tenendo in braccio il figlioletto più piccolo appena uscito dalla scuola materna. Il bambino, guancia paffutella e bocca semiaperta, dorme profondamente abbandonando le braccia al nulla. In una sorta di tartarughina in letargo. Nel guscio paterno. Tenerezza e virilità in una scena da film. Una sorta di Christian Grey in versione paterna. Finché il padre non apre bocca. E la pellicola stride.

– Se stai in braccio Santa Lucia non arriva! –

Lo ripete ad alta voce un paio di volte e guardandosi intorno, quasi nel tentativo di estraniare quel tipo di autorità che sta nel mezzo fra l’anarchia ed il regime patriarcale del “Conto fino a tre!!!”. Che poi non si è mai capito quale catastrofe ci possa essere a partire dal quattro. E meno male che le braccia del bambino, durante il curioso monologo, restano abbandonate a Morfeo, evitandogli di doversi chiedere prestotempo perché dormire sulla spalla del papà lo sommergerà di carbone.

Anch’io ho contato con mio padre durante l’infanzia. Abbiamo contato le biglie ed i centimetri di pista sulla spiaggia. Abbiamo calcolato quanti dischi di vinile ci stavano nel cubo vuoto su cui poggiava lo stereo. Che poi si chiudeva con una porta a vetro. Abbiamo imparato le sottrazioni diminuendo i centimetri fra le nostre altezze. Ho imparato a misurare le parole nelle canzoni sentendole cantare. Ho visto disegnare circonferenze dai suoi walzer in balera. Ho accumulato lettura su “I quindici” ed imparato l’attesa ne “I Raccontastorie”, che le due settimane tra un fascicolo e l’altro erano infinite. Ho imparato a dire bugie bianche quando ho scoperto i giochi di Santa Lucia nell’armadio della sua camera. Nel pezzettino di carbone che trovavo fra i dolci abbiamo concentrato i buoni propositi. Ci siamo contati anche i difetti. Senza puntarci una lente d’ingrandimento. E ci siamo misurati le parole, con la giusta dose di vivacità. Parola più, parola meno. Silenzio più, silenzio meno.

Sono cresciuta sotto una campana d’aria e di sole. Ho preso pioggia a viso scoperto e lavato terra dalle mie ginocchia per anni. Non mi sono state rubate responsabilità e delusioni. Ho ricevuto lavate di testa e messe in piega strepitose. Mi è stato concesso il privilegio del litigio con gli amici in piena autogestione. Ho ricevuto discorsi chiari, senza tanti fronzoli o teorie. Ed ho avuto esempi. Da seguire. È stata una bellissima avventura, papà. Abbiamo contato tanto insieme. Quando la vita mi ha fatto puzzle, non hai perso il conto dei pezzi. E mi hai ricomposto. Contando all’infinito. Tu conti molto per me ed io so di contare per te. Oggi è la tua festa. E tu se il mio sorriso.

Auguri, papà.💖