DI ASOLE E SOGNI 

La rapirono un giorno d’attesa, 

un camino ed un giovane vecchio

che leggeva il suo mare.

Sconquassati in burrasca, i suoi 

fondali salini si riaddolcirono in 

brezza sbattuta a battigia.

Sciolse ogni senso, boccheggiando schiuma

e sanguinando inchiostro 

da cicatrici di cuore sanate a miele. 

Smarrì la via in un labirinto di vene battenti,

riagganciando percorso fra

una panchina e roventi binari.

Sussurrarono baci, i medievali muri,

fra intrecci di dita come amplessi

e lingue a carezze di pelle in opposta direzione. 

Lingua fuori.

E parole ancorate dentro.

Granitico pathos esploso a penna,

fra un celeste divano ed una tenda

 custode di presenze lontane. 

E poi quegli occhi!

“Guardate, non sono bellissimi forse?”

Sconosciuti sorrisi che valsero la pena d’esser provocati.

Con avanzo di gote rosse come fragole.

Però quegli occhi…

Lei li voleva, quegli occhi.

Ci si impigliò dentro in fitta trama

 e li fece suoi, in Amor d’iride e

 passion di specchio d’anima. 

Potandosi lo sguardo se n’operò 

innesto per guardarsi meglio.

Sicché si guardarono.

Scivolandosi dentro. 

Giù, giù, sempre più giù.

Sconoscendosi i precipizi.

Scambiandosi gli orizzonti.

Restituendosi l’un capovolto nell’altra

in ancestrale diritto d’appartenersi 

e ricongiungersi gli epidermici confini.

Si custodirono.

Lui la ricamò in dorati sogni,

fra un buongiorno in poesia ed un bramito di cervo,

prendendosene cura come nessuno mai.

Lei se lo incollò al petto, proprio lì dove sotto pulsava

un cuore in cui lui fu bottone che soavemente 

seppe passare fra le sue asole più profonde,

chiudendosi a lei stretto.