Venne il progresso.
E con lui cambiammo il passo. Non le scarpe. La camminata solamente.
Digitalizzandola.
Ed illudendoci di essere più forti. Più protetti. Perché schermati. Pieni di filtri, quindi, mentali ed emotivi in primis.
Indi, non più liberi.
La penna, che divorziando dal calamaio ottenne libertà ed indipendenza, venne presto tempo incappucciata e riposta nel cassetto.
Di fianco ai sogni.
Sai che goduria porre la spalla a chi sogna da una vita di uscire da un posto che, per antonomasia, è quello in cui tutti lo ripongono quando disillusi.
Vennero i palloni moderni.
Quelli da primo tocco. Quelli da partite commercializzate e spogliate d’ogni essenza, d’ogni materialità e passione. Quella virilità calcistica necessaria a piedi e spalle, quel furore da campo scomparso insieme alla peluria dell’uomo dei nostri tempi, sempre più bello, sempre più liscio.
Un po’ meno maschio.
Caddero i bimbi come birilli sui campi d’oratorio. Impreparati a spinte e litigi. Iper protetti dal sano confronto fra coetanei, quel rapportarsi fra pari necessario alla crescita, al diventare uomo e donna di strada, di ginocchia sbucciate e di questioni affrontate senza adulti tra i piedi e senza consigli di troppo.
Liberi e beati.
Venne il sesso digitale.
Scomparvero i giornaletti sulle capanne e con loro migliaia di alberi. Si cementarono terreni ed amori. Soffocò la terra sotto l’asfalto. Morì l’erotismo nella saturazione delle immagini. Più esplicite e meno misteriose.
Scontate.
La provocazione si fece adolescente. L’immagine di sè divenne modificabile. Filtro su filtro. Storia su storia. Schermo su schermo.
E la naturalezza andò a farsi fottere.
Derisa da apparizioni di sè proiettate nel mondo. In una partita di scacchi tra like e follower. Giocata sull’ego e persa in partenza.
Vennero nuove aspettative.
Calate sugli infanti a partir dal primo vocabolo. Tristemente spronati ad apprendimenti d’ogni tipo. Materie di studio, di prestudio e di extrastudio.
Trasversali a fasce d’età che gridano protezione. Urlano clemenza da schizofrenie genitoriali vomitate sulla prole, sempre più incasellata, omologata, proiettata alla perfezione. In ogni campo e disciplina.
Miserabili egoisti.
Uomini dei tempi moderni.
Esteti allo stremo.
Calibrati nelle emozioni.
Adulti sordi. Alle grida dei propri figli.
Ciechi. Di fronte al loro disagio.
Stitici di carezze ed elogi. Rigonfi d’orgoglio da prestazione. Quasi come se dare e fare fossero solo doveri, non encomiabili, esclusivamente dovuti, per l’appunto. In una sterile ricerca di perfezione soffocante, traditrice, buia, assassina, mordace.
Venne l’amore moderno.
Quello breve.
Quello che si getta la spugna alla prima caduta.
Amore dai gradini di cristallo.
Frantumati al posto di esili scarpette, sotto passi troppo lunghi e scambi di parole troppo brevi. Crollati al peso dei silenzi. Come se parlare non fosse più di moda.
Meglio un selfie postato all’ora di cena. A pranzo. A colazione. A merenda. Al trucco. Mentre ci si abbraccia. E mentre ci si bacia.
Per finta.
Sorrisi d’occasione, li definiscono.
Quelli a Natale, sotto l’albero. A Pasqua, di fianco all’uovo. D’estate, al primo viaggio. D’inverno, alla prima neve… #primifreddi #inverno2018…
Come se gli inverni addietro facesse caldo.
Che poi, l’unico selfie reale sarebbe quello al gabinetto… #bisogninaturalinonmodificabili #iericomeoggi…
Porta a sorridere, tutto sommato, l’idea di modernità. Si potesse scendere un attimo dal mondo, se ne osserverebbero omini in corsa verso chissà quali traguardi. Ragazzini troppo adulti ed adulti che non ricordan d’esser stati ragazzini.
Il danno supremo.
E la beffa sta nel fatto che adulti e ragazzini si scimmiottano a vicenda.
I primi, vorrebbero tornar ad esser ciò che si son dimenticati d’esser stati.
I secondi, vorrebbero esser uomini di colpo, non sapendo quanto rimpiangeranno i loro anni migliori.
È una perenne rincorsa a qualcosa, al desiderio da avverare, all’obiettivo da raggiungere, allo scopo da prefiggersi.
Per forza di cose.
Per poi rischiar di perderle, tutte quelle cose.
Accumulando desideri, obiettivi, scopi.
Non riuscendo più a rallentare.
Folli. Come schegge impazzite.
Per poi, magari, rincasare una sera e scoprire tutto d’un tratto tristezza negli occhi di un figlio.
Accorgendosi di colpo di quel suo sguardo velato, silenziosamente bramoso di carezze e parole.
E non desiderando d’esser per lui null’altro che una sciarpa, di quelle lanose, fatte a mano, come i vecchi tempi.
Per poterlo avvolgere e stringere forte.
Null’altro.
Donandogli tutto il calore del mondo… #Amoreforever #vaffanculotuttoilresto
• Fotografia: “Hansel”, Paola Geranio, 50×50, (2012)
22 giugno 2018 at 8:22
Hai descritto alla perfezione la realtà moderna, nella quale sembra dominare la schizofrenia in ogni sua parte.
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22 giugno 2018 at 8:27
🙂
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22 giugno 2018 at 8:29
😘😘😘😘😘😘😘❤️
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22 giugno 2018 at 13:18
Bellissima e tanto vera
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22 giugno 2018 at 13:32
Michele, ti ringrazio. Mi rallegra il “bellissima” tanto quanto mi rattrista il “tanto vera”, che rappresenta, ti do cento ragioni, una frangia di realtà in aumento. Ma sono parole scritte da un’eterna ottimista quale sono, indi, diciamo che, a parte tutto ciò che ho scritto, e che penso realmente, resta anche l’altra metà della frangia verso la quale volgere lo sguardo. La bella gente, insomma, quella parte di persone che ancora sanno meravigliarsi e delle quali, sicuramente, fai parte anche tu. Grazie ancora. Buona giornata 🙂.
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22 giugno 2018 at 13:36
Hai detto bene, Adry, talvolta, modernità e schizofrenia, nel senso lato del termine, sembrano prendersi sottobraccio. Che ballo ne verrà fuori, poi, non saprei. Personalmente, preferisco continuare a danzare sulle note del “Ballo del qua qua”, chissà mai di riuscire a prender sottobraccio la felicità 😉
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22 giugno 2018 at 14:00
Concordo 🙂
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1 dicembre 2018 at 16:14
Belle parole, crudelmente vere.
(l’immagine è molto bella: ne conosci l’autore?)
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1 dicembre 2018 at 16:17
È un quadro di mia cognata, la pittrice Paola Geranio. Grazie Luisa 🙂
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